Per episodio di tossinfezione alimentare si intende qualsiasi focolaio epidemico correlato all’assunzione di alimenti in cui due o più persone presentino segni di malattia, ad eccezione della intossicazione da Clostridium botulinum, da funghi e da altri agenti tossici naturali o chimici in cui è sufficiente la presenza di un solo caso. Nelle tossinfezioni alimentari il cibo può agire sia come vettore di microorganismi in attiva fase di crescita che come veicolo passivo di agenti che non si replicano (batteri, virus, protozoi) o di tossine biologiche o chimiche.
Negli Stati Uniti si stima che ogni anno si verifichino da 6,5 a 33 milioni di casi di tossinfezioni alimentari, che causano circa 9.000 decessi.
I sette principali patogeni che si ritrovano nei prodotti di origine animale (Campylobacter jejunì, Clostridium perfrigens, E. coli 0157:H7, Listeria monocytogenes, Salmonella, Staphylococcus aureus, Toxoplasma gondii) sono responsabili annualmente da 3,3 fino a 12,3 milioni di casi di tossinfezioni alimentari, con 3.900 decessi ed un costo stimato da 6,5 a 34 bilioni di dollari (spese sanitarie + mancata produttività lavorativa del malato)1. Ogni anno in Italia vengono notificati 23.000 casi di salmonellosi, pari a 41,3 ogni 100.000 abitanti. Nella sola regione Piemonte sì sono verificati nel 1997 45 focolai epidemici di tossinfezione alimentare, che hanno interessato circa 1.400 persone.
Nella regione Emilia Romagna il costo delle salmonellosi (responsabili del 74,4% dei focolai epidemici di origine alimentare) nel 1993 è stato valutato in un recente studio2 in 93.408.214.000 lire.
L’incidenza delle malattie trasmesse da alimenti è in costante ascesa in tutti i paesi industrializzati. Questa tendenza è ascrivibile in gran parte alle modifiche dello stile di vita e delle scelte alimentari dei consumatori3. Le mutate abitudini lavorative (e di studio) hanno indotto un aumento del numero dei pasti consumati fuori casa, che negli Stati Uniti sono ritenuti responsabili dell’80% degli episodi di tossinfezioni segnalati4. Questo fenomeno ha condizionato anche un incremento del numero dei punti di ristoro (bar, chioschi) in aggiunta ai ristoranti e alle mense preesistenti, con le conseguenti difficoltà ad effettuare un efficace controllo sanitario. La ridotta disponibilità di tempo nelle famiglie, dove spesso lavora anche la madre, ha ridotto drasticamente la propensione alla preparazione del cibo casalingo, con una progressiva perdita di competenze specifiche nella confezione e conservazione degli alimenti e un ricorso sempre più frequente all’acquisto di pasti pronti, che richiedono particolari cautele (consumo immediato o immediata refrigerazione). Inoltre l’assenza di entrambi i genitori da casa costringe sempre più spesso i minori (i cui genitori non posseggono più l’esperienza per fornire una sufficiente dote di nozioni pratiche) a preparare essi stessi il pasto3, con modalità non sempre igienicamente corrette (i.e. inadeguato riscaldamento, contaminazione di cibi cotti con cibi crudi). Anche le nuove preferenze alimentari dei consumatori possono giocare un ruolo non secondario. La ricerca di gusti nuovi (i.e. frutti «esotici») e la perdita della nozione di stagionalità di frutta e verdura conducono all’importazione di questi prodotti da paesi lontani, con la concreta possibilità di importare anche degli agenti infettivi non usuali1. Va segnalato poi il diffondersi nella popolazione di regimi dietetici volti alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, che prevedono l’uso di vegetali crudi e potenzialmente infetti: «Good for thè heart, hard on thè gut»5.
L’incremento dei casi di tossinfezione alimentare è anche dovuto all’estendersi della fascia di soggetti a rischio (i.e. anziani, bambini, ìmmunodepressi) ed a fattori che concernono le diverse fasi di produzione (i.e. metodi intensivi di allevamento del pollame6) e lavorazione degli alimenti: a tal proposito un problema di rilievo può essere costituito dalla bassa specializzazione del personale addetto alla confezione degli alimenti e del suo rapido turnover, che non consente di ottenere una corretta formazione igienico-sanitaria789. Infine permane nella popolazione generale una scarsa propensione al rispetto delle più elementari norme igieniche per la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale. In un recente studio dell’American Society for Microbiology è emerso che i 21 3 del campione studiato (6.330 adulti) non si lavavano le mani dopo aver usufruito dei servizi igienici …
L’importanza delle tossinfezioni alimentari è enfatizzata anche dalla nozione che il 2-3% di queste patologie è potenzialmente correlato a rilevanti sequele di tipo cronico: spondilìte anchilosante, artropatie, malattie renali (s. emolitico-uremica), disturbi cardiaci, malattie neurolo-gìche (s. Guillain-Barrè), endocrinopatie (m. di Graves), enteropatie con diarrea cronica e malassorbimento (Crohn)10.
Eziologia
Sebbene i consumatori ritengano in generale che additivi e contaminanti chimici rappresentino il maggior pericolo per il cibo8, la stragrande maggioranza degli episodi di tossinfezione alimentare sono di origine infettiva. Secondo il Center for Disease Control and Prevention, il 79% di queste forme negli U.S. A sono dovute a batteri3 ed il 69% alla sola salmonella, analogamente ai principali paesi europei: in Italia come già detto sopra, vengono notificati circa 23.000 casi/anno di salmonellosi, nell’Inghilterra-Galles 30.000, in Francia almeno 10.000.
Le caratteristiche dei principali patogeni alimentari sono riassunte nella Tabella I (da Veitch e Hogg modificata12). Consideriamo invece brevemente alcuni aspetti di patogeni meno usuali o di recente acquisizione: E coli S.T.E.C., Arcobacter, Cryptosporidium, Cyclospora. Ci soffermeremo maggiormente sulla Listeria monocytogenes, di peculiare interesse biologico-clinico, riportando anche alcuni dati di nostra osservazione.
E Coli Shiga-Toxinproducing (S.T.E.C.)
E. Coli
Questo termine include tutti i ceppi di Coli che elaborano tossine shiga (STx 1 e 2), indipendentemente dalle manifestazioni cliniche. Per E. Coli E.H.E.C. (enteroemorragici) si intendono quei sierotipi di S.T.E.C. che causano una sindrome clinica simile a quella provocata dall’E. Coli O157:H7 (es., il sierotipo O111:NM). Ricordiamo come questa sindrome sia caratterizzata da diarrea muco-emorragica e, particolarmente nei bambini, sindrome emolitico-uremica (S.E.U.). La maggiore sensibilità al danno renale manifestata dalla popolazione infantile è spiegata dall’azione della tossina, che è specifica per il glicosfingolipide globotriaosylceramide (Gb3), presente sulle cellule endoteliali glomerulari dei bambini al di sotto dei 2 anni, ma non in quelle dell’adulto14. La diagnosi di laboratorio di infezione da ceppi S.T.E.C. non-O157:H7 richiede tecniche non comunemente disponibili: pertanto probabilmente alcuni episodi di tossinfezione da questi agenti rimangono non diagnosticati. Lo spettro clinico varia da forme enteritiche fino alla S.E.U. nel caso dei ceppi E.H.E.C. Il differente grado di virulenza è probabilmente legato al livello della dose infettante e della produzione di tossine. La tossina STx 2, prodotta dalla maggioranza dei sierotipi O157:H7, presenta una maggior virulenza dell’STx 1 nel causare la progressione clinica verso la S.E.U.
Listeria
Questo batterio è stato riconosciuto come fonte di tossinfezioni alimentari nei primi anni ’80, dopo il riconoscimento di alcuni focolai epidemici correlabili al consumo di cibi contaminati. Il quadro clinico è assai variabile comprendendo forme asintomatiche, sintomi influenzali, aborto e parto prematuro nelle gestanti, sepsi, meningite, gastroenterite. Sebbene l’apparato gastroenterico rappresenti la porta d’ingresso della Listeria nell’organismo, i sintomi di malattia gastroenterica possono completamente mancare. Questo fatto va ascritto al particolare ciclo vitale del batterio che viene fagocitato dalle cellule intestinali senza interrompere l’integrità dell’epitelio. Raggiunto l’interno della cellula esso è in grado di lisare attraverso la listeriolisina O il fagolisosoma e liberarsi nel citoplasma, dove si sposta utilizzando le proteine contrattili della cellula ospite. Giunto alla periferia della cellula forma un filopodo che viene ingerito dalla cellula adiacente. La diffusione può proseguire fino al raggiungimento del torrente ematico1S.
Il tasso di mortalità (23%) è elevato, particolarmente nei soggetti a rischio (immunodepressi, bambini etc.). La terapia si basa sull’uso di antibiotici come ampicillina ed aminoglicosidi e chemioterapici come il cotrimoxazolo.
La Listeria è distribuita in modo alquanto ubiquitario: si può trovare nel suolo, nelle piante, nell’acqua, nei concimi di origine animale. È veicolata dalle feci dell’uomo (2-6% di portatori) e degli animali come vitelli, pollame, maiali (10-50% di portatori). È in grado di vivere e moltiplicarsi alle basse temperature, ha scarse necessità nutritive e persiste a lungo nell’ambiente (anche 50-60 giorni). Si può ritrovare negli impianti di lavorazione alimentare, nei centri di cottura ed è ospite frequente di frigoriferi e congelatori domestici: la persistenza della Listeria può essere favorita dalla sua capacità di attaccarsi alle superfici e di formare biofìlm che le conferiscono una protezione verso i detergenti battericidi.
In base a questi dati è evidente che il batterio può contaminare i prodotti alimentari dalla produzione, alla lavorazione, alla distribuzione fino al mantenimento domestico. È stata isolata in vegetali freschi (11%), carni crude (13%), latte crudo (3-4%), pesce e altri13. In uno studio effettuato nell’Italia centrale è stato esaminato un campione di 164 formaggi a pasta molle: la Listeria è stata trovata nel 27% dei campioni, anche se solo nel 4,9% dei casi si trattava dei sierotipi potenzialmente patogeni 1 e 413. In considerazione della vasta diffusione nell’ambiente e nei cibi la maggior parte della popolazione ingerisce frequentemente Listerie senza alcun effetto. È probabile che la patogenicità, oltre che all’intervento di particolari sierotipi quale il 4b, sia legata a peculiari e ancora non ben chiarite modalità di interazione tra ambiente, batterio ed ospite1S. Una notevole importanza è sicuramente rivestita dalla carica batterica contaminante: negli Stati Uniti, in un recente episodio di gastroenterite da latte contaminato in cui si erano ammalati il 75% dei soggetti che lo avevano consumato, sono stati evidenziati dei livelli di lO8 – lO9 CFU/ml (circa IO11 CPU per soggetto, se rapportati alla quantità ingerita)17.
Gli episodi epidemici finora descritti hanno riguardato prevalentemente cibi pronti refrigerati e consumati senza preventiva cottura o riscaldamento: latte, formaggi a pasta molle, paté etc.
La diagnosi di listeriosi si fonda sull’isolamento del batterio su coltura di sangue, liquor e feci. Nell’episodio gastroenterico statunitense sopradescritto il 37% dei pazienti sintomatici presentava una coprocoltura positiva. La coprocoltura necessita di un terreno di arricchimento e di una metodologia specifici e va quindi indirizzata dal sospetto clinico. La sierodiagnosi effettuata con la determinazione della presenza di anticerpi anti-listeriolisina O necessita di ulteriori conferme in merito al suo valore predittivo nelle enteriti con coprocoltura negativa e nelle forme più invasive16.
La nostra esperienza
Nel 1995 è giunta alla nostra osservazione una meningite da Listeria monocytogenes in una bambina immununocompetente in età scolare. La paziente abitava in una fattoria di una zona rurale e consumava abitualmente latte crudo e latticini di produzione domestica. Nel maggio 1997 a Torino un episodio di tossinfezione alimentare ha interessato 4250 studenti di differenti strutture scolastiche (elementari, università) che utilizzavano per il servizio mensa il medesimo centro di cottura. Nell’indagine caso-controllo l’alimento responsabile è risultato essere del mais crudo: un campione residuo è risultato positivo per L. monocytogenes, > IO6 CFU/g. Alcuni campioni ambientali prelevati dagli scarichi dell’impianto di produzione degli alimenti sono risultati positivi per Listeria. Il batterio è stato isolato dalle feci dell’87% dei pazienti ospedalizzati e dall’emocoltura di un paziente con febbre elevata. Tutti i batteri isolati dal cibo, dall’ambiente del centro di cottura e dai pazienti appartenevano al sierotipo 4; risultavano indistinguibili con differenti tecniche di subtipizzazione molecolare (DNAmacrorestriction analisis, con l’uso di elettroforesi pulsata a campo inverso e a campo esagonale e l’amplificazione random del DNA polimorfo) e presentavano il medesimo pattern di antibiotico resistenza. È stato ipotizzato che la contaminazione dell’alimento sia avvenuta a causa di una imperfetta sanificazione dei contenitori in acciaio dove veniva preparata l’insalata di mais. Ricordiamo che in un precedente focolaio di gastroenterite da Listeria sierotipo l/2b, avvenuto a Bologna nel 1993, il cibo incriminato era una insalata di riso19: evidentemente quindi, in caso di tossinfezione alimentare, la diagnosi differenziale deve comprendere la Listeria anche quando l’alimento coinvolto sia di origine vegetale.
Presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita sono stati ricoverati 148 bambini intossicati (67 maschi, 81 femmine) con un’età media di 9,5 anni ed un peso medio di 27,4 Kg. L’intervallo libero dopo l’ingestione dell’alimento è stato tra le 18 e le 24 ore per 136 bambini, di 24-41 ore nei rimanenti 12. Il sintomo più frequente all’ingresso era rappresentato dalla febbre (88% dei pazienti), seguito dalla cefalea (54%), dai dolori addominali (49%), dal vomito (40%) e dalla diarrea (8,8%). Durante il ricovero, in due casi sono state segnalate delle allucinazioni visive. La temperatura ascellare media misurata all’ingresso era di 38,8°, con un massimo di 40,4. In 123 pazienti sono stati valutati i principali parametri ematochimici «rapidi» dell’infiammazione: conta dei leucociti con formula leucocitaria e Proteina reattiva C. È stata evidenziata una spiccata leucocitosi con neutrofilia (G.B. 14,97 x lOVml, neutrofili 13,24 x lOVml), mentre la PRC era solo lievemente aumentata (17,64 mg%, v.n. fino a 10), La degenza media è stata di 2,1 giorni. A domicilio, dopo la dimissione, alcuni pazienti hanno presentato diarrea. A una distanza dal ricovero variabile tra i 12 e i 28 giorni (media 19,85) sono rientrati a ricovero 7 pazienti di etàt media di 8 anni, che presentavano febbre (6 casi), cefalei (3 casi), dolori addominali (3 casi) ed altri sintomi (mialgie, disturbi gastroenterici): la sintomatologia si è risolta dopo 1-3 giorni di ricovero. Questi soggetti sono stati trattati con antibioticoterapia specifica, dato che a quei punto era noto l’agente eziologico.
Arcobacter
Arcobacter
Definiti in precedenza come «campylobacter-like organisms» questi batteri sono stati recentemente (1991) riconosciuti come genere a sé stante: li distingue la capacità di crescere in aerobiosi alla temperatura di 30°20, L’infezione è causa di aborto nel maiale e di disturbi. gastrointestinali nell’uomo (diarrea persistente, dolori, addominali, febbre). Il batterio è stato isolato dalle carni e dall’acqua: l’esposizione all’acqua contaminata sembri essere il più frequente fattore di rischio13. Nel 1983 in Italia un episodio tossinfettivo caratterizzato da dolori addominali ricorrenti ha riguardato 10 bambini di una; scuola elementare21.
Cryptosporìdìum
Oocisti di Cryptosporidium
Questo protozoo è stato riconosciuto come patogeno umano nel 1976. La malattia nel soggetto immunocompetente si manifesta come un’enterite acuta della durata, di 7-14 giorni, con nausea, dolori addominali, febbricola. Nel soggetto immunocompromesso determina una diarrea cronica di grado severo22: l’incidenza dei casi riportati è aumentata drasticamente con l’emergere dell’infezione da HTV.
II microorganismo è in grado di infettare tutti i mammiferi. La trasmissione avviene per via oro-fecale e attraverso alimenti e bevande contaminati freschi (le cisti non sopravvivono alla cottura). Il principale fattore di rischio è rappresentato dall’acqua potabile. Nel 65-97% delle acque di superficie (fiumi, laghi) sono presenti oocisti di: Cryptosporidium resistenti ai trattamenti chimici di potabilizzazione. La rimozione fisica del parassita dall’acqua attraverso la filtrazione non ne garantisce la completa sterilità: nel 27-54% delle acque potabili valutate in uno studio statunitense erano presenti piccole quantità di cisti23. È teoricamente possibile quindi una contaminazione a bassa carica diffusa con l’acqua potabile e a tutt’oggi non è definito il possibile livello di rischio13. Nei due episodi descritti negli U.S.A. (uno dei quali nel 1993 a Milwaukee ha interessato 403.000 persone, con 4.400 ricoveri ospedalieri) l’acqua potabile rispettava tutti gli standards qualitativi imposti dalla legge facendo quindi supporre una contaminazione a bassa carica e probabilmente intermittente. Nell’episodio di Milwaukee le oocisti furono ritrovate nei cubetti di ghiaccio prodotti nel periodo dell’epidemia.
Cyclospora
Cyclospora – acid-fast stain
Oocisti di Cyclospora
La specie Cyclospora è un patogeno enterico di fresco riconoscimento. La presentazione clinica è simile a quella dell’infezione da Cryptosporidium, distinguendosi solo per una maggior durata (circa 40 giorni) ed un alternarsi di remissione-riaccensione della sintomatologia. Il contagio avviene tramite la contaminazione con feci umane di acqua ed alimenti. La trasmissione diretta da persona e persona è improbabile, perché le oocisti necessitano di giorni o settimane per sporulare e divenire infettive: il clima caldo e umido favorisce la sporulazione. La dose infettante è a tutt’oggi non definita.Nei mesi di maggio e giugno 1996 un episodio tossinfettivo dovuto al consumo di lamponi freschi contaminati importati dal Guatemala ha interessato circa 1.400 persone in 20 stati diversi di Stati Uniti e Canada24.
Elementi di diagnosi e di intervento
La diagnosi di tossinfezione alimentare appare ovvia lo ci si trovi di fronte all’insorgere contemporaneo di una sintomatologia prevalentemente gastroenterica in un gruppo di soggetti che abbiano consumato lo stesso cibo negli ultimi 2-3 giorni. La medesima diagnosi diviene ardua e dubitativa di fronte a dei casi sporadici. In questi frangenti l’unico indizio potenzialmente significativo emerso in un recente studio è l’insorgere isolato ed improvviso, in pieno benessere, di sintomi quali dolore addominale acuto e diarrea in un paziente che abbia pranzato fuori casa nella settimana precedente.Il sospetto da parte del paziente di essere vittima di una tossinfezione alimentare (riferito nel 10% delle visite per enterite) non è risultato di alcun valore diagnostico25. Il rilievo di un secondo caso nel nucleo familiare a distanza di 24-36 ore dal primo orienta piuttosto verso una patologia a trasmissione interumana (i.e. enterite virale)12.
In presenza di un episodio tossinfettivo la diagnosi eziologica non può evidentemente poggiare sulle indagini di laboratorio, almeno nell’immediato: i tempi tecnici necessari per un esame colturale delle feci sono tali che il risultato probabilmente giungerà quando l’epidemia sarà arginata o volgerà al termine.
In base al quadro clinico possiamo distinguere26:
sindromi caratterizzate da diarrea e vomito: relativamente precoci (entro 6 ore dall’ingestione), sono causate probabilmente dalle tossine di Staphylococcus aureus e bacillus cereus. La febbre solitamente è modesta, mentre il tasso di attacco tra i soggetti che hanno consumato il cibo contaminato è elevato. Queste forme sono relativamente benigne e si risolvono spontaneamente nell’arco di breve tempo necessitando eventualmente di terapia di supporto.
sindromi caratterizzate da diarrea non infiammatoria: rispetto alle precedenti l’intervallo prima della comparsa diarrea acquosa è più prolungato e sono spesso presenti febbre non elevata e dolore addominale. Gli agenti responsabili sono prevalentemente il Clostridium perfrigens, il Bacillus cereus enterotossico ed i virus. Il decorso è di circa 48 ore;
sindromi caratterizzate da diarrea infiammatoria: compaiono tutti i principali agenti responsabili di diarrea muco-ematica (Salmonella, Campylobacter, Yersinia, Coli enteroinvasivo). L’intervallo libero è spesso di 1-2 giorni, la febbre elevata, il decorso prolungato (1 settimana ed oltre). I pazienti con un’imperfetta risposta immunitaria richiedono un trattamento antibiotico;
sindromi neurologiche: soprattutto il Clostridium botulinum, che provoca a distanza di 12-36 ore dall’ingestione una paralisi simmetrica discendente raramente preceduta da sintomi gastroenterici. È indispensabile il trattamento con l’antitossina specifica.
Gli elementi sopradescritti forniscono al medico un primo orientamento diagnostico. Altri dati utili possono provenire dall’anamnesi alimentare, quando viene scoperto il consumo di un cibo potenzialmente a rischio di contaminazione da parte di un determinato batterio (i.e. uova crude per la Salmonella). Nell’era della globalizzazione dei mercati la localizzazione geografica di un determinato tipo di infezione inizia invece a perdere di valore.
Le tossinfezioni alimentari nei soggetti peraltro sani ed immunocompetenti sono generalmente autolimitanti e non richiedono particolari trattamenti. Nei bambini al sotto dell’anno, negli immunodepressi, nei cardiopatici e comunque in presenza di segni di tossicosi sistemica (febbre elevata, stato settico, netta alterazione degli indici di flogosi) è opportuna una terapia antibiotica a largo spettro (i.e. cefalosporine di III generazione) in attesa delle risposte del laboratorio. Il medico non deve dimenticare, al solo sospetto clinico di tossinfezione alimentare, di denunciare rapidamente il caso alle autorità sanitarie competenti: solo in questo modo sarà possibile evidenziare i focolai tossinfettivi e identificare (e possibilmente eliminare) la sorgente di infezione. Peraltro le denunce effettuate rappresentano solo la minor parte dei casi di tossinfezione alimentare realmente verificatesi27. Allo scopo di migliorare il livello di sorveglianza (intesa come la continua e sistematica raccolta, catalogaziene e analisi di dati e la pronta diffusione dei risultata ai soggetti in grado di intraprendere un’azione appropriata) negli Stati Uniti è nato nel 1994 il Foodborne Diseases Active Surveillance Network (FoodNet) che agisce contattando periodicamente (ogni 7-30 giorni) una rete di laboratori di analisi per raccogliere i nuovi casi. L’impiego di particolari algoritmi può consentire di evidenziare l’emergere di particolari sierotipi in rapporto all’ andamento dei mesi ed anni precedenti2729. In Italia un sistema di sorveglianza attiva delle tossinfezioni alimentari è stato predisposto nella regione Emilia Romagna30. n tasso di notifica per 100.000 abitanti per la salmonellosi è stato nel 1992 del 66,8, contro ad esempio il 23,04 nel 1997 della regione Piemonte, che adotta un sistema di sorveglianza passiva. Un importante strumento per evidenziare più rapidamente dei focolai tossinfettivi è rappresentato dalle tecniche di subtipizzazione molecolare («DNA fingerprinting») quali l’elettroforesi pulsata a campo inverso. Queste tecniche consentono di creare un profilo molecolare di un batterio isolato da un paziente e di confrontarlo con quello di batteri isolati da altri pazienti o da cibi sospetti. La metodica è particolarmente utile per ricondurre alla medesima origine dei casi sporadici di tossinfezione, verifi-
catisi magari in luoghi e tempi diversi2931: questo dato indirizzerà le autorità sanitarie a effettuare le opportune indagini epidemiologiche per evidenziare (ed eliminare) la sorgente infettante, costituendo inoltre un valido supporto per decisioni quali il ritiro di un prodotto alimentare sospetto largamente diffuso su scala nazionale. I progressi in termini di epidemiologia e tecniche di laboratorio non devono comunque far dimenticare il ruolo centrale del medico: le raffinate indagini sopra descritte partono solamente dopo la segnalazione di un episodio di tossinfezione alimentare sospettato sul piano clinico.
Elementi di prevenzione
II problema della sicurezza degli alimenti ha un notevole impatto nei confronti dell’opinione pubblica. Negli U.S.A. il presidente Clinton nel 1997 ha chiesto al Congresso di stanziare 43 milioni di dollari per migliorare questo aspetto della salute pubblica.
Un’efficace prevenzione deve riguardare tutti gli anelli della catena alimentare, comprendendo la coltivazione e l’allevamento, il raccolto e il macello, la conservazione dei prodotti, il trasporto verso gli stabilimenti alimentari o i punti di vendita, le lavorazioni alimentari, la distribuzione al dettaglio fino alla conservazione e confezione a domicilio. Queste fasi vanno controllate avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici H.A.C.C.P. (Hazard Analysis and Critical Control Point), universalmente accettato e recepito recentemente dalla normativa italiana (decreto n. 155 del 26/5/1997: attuazione delle direttive 93/431 CEE e 96/3/CEE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari). Tutti i soggetti che esercitino una attività ai vari livelli della catena alimentare devono garantire il controllo igienico attraverso:
– l’analisi dei potenziali rischi per gli alimenti;
– l’individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per gli alimenti;
– la decisione da adottare riguardo ai punti critici individuati;
– l’individuazione e l’applicazione di procedure di controllo e sorveglianza dei punti critici;
– il riesame periodico, e in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d’attività, di tutti i punti precedenti.
Negli Stati Uniti la rigida applicazione di questi concetti ha consentito, con un programma adeguatamente finanziato, di ridurre significativamente nell’arco di 4 anni (1989-1993) l’incidenza delle Listeriosi32. Peraltro, è praticamente impossibile ottenere un cibo «sterile»: la Listeria continua ad essere ritrovata in un gran numero di alimenti che vengono eliminati (per un valore di milioni di dollari) in osservanza di una politica di «zero tolerance» di cui molti chiedono la revisione in ragione della mancata documentazione della possibile patogenicità per l’uomo di bassi livelli di contaminazione (< IO2 CPU/g) . Analogo discorso per le infezioni da Salmonella: allo stato attuale dell’arte non è possibile eradicare questo batterio dagli allevamenti di pollame ma solo contenerne la diffusione prevalentemente attraverso il controllo dei vettori (roditori) e la rigorosa pulizia degli ambienti. Le uova possono infettarsi per contaminazione esterna, potenzialmente prevenibile, o per via transovarica. In quest’ultimo caso la carica infettante appare bassa e stabile per circa 3 settimane, per cui un buon livello di sicurezza (ma non la sterilità) può essere raggiunto con la refrigerazione ed il consumo in tempi brevi33.
L’obiettivo di un cibo assolutamente sicuro passa attraverso la sua sanificazione con procedimenti fisici come la pastorizzazione o chimici, quali il lavaggio delle carcasse animali con soluzioni di acido lattico34. L’irradiazione con 3 kGy di raggi gamma potrebbe rappresentare il metodo ideale: economico ed efficace, è ritenuto sicuro da molte organizzazioni quali la World Health Association e l’American Medical Association. Peraltro i consumatori non accettano di buon grado questa procedura: inoltre, come sottolineato dalla British Medical Association, esiste il concreto pericolo che l’irradiazione consenta di coprire gravi carenze nelle precedenti fasi di produzione, conservazione e preparazione del cibo, «sanificando» prodotti scadenti sotto il profilo igienico ed organolettico35.
Sostanziali miglioramenti nella prevenzione delle tossinfezioni alimentari potranno essere raggiunti con l’effettuazione di periodici corsi di formazione igienico-sanitaria per il personale addetto alla preparazione degli alimenti, ma soprattutto con un’educazione permanente dei consumatori al rispetto delle più elementari norme di confezione e conservazione del cibo39.
World Health Organisation – Dieci regole d’oro per preparare cibi sicuri
Scegliere alimenti trattati per la conservazione
Cuocere completamente gli alimenti
Mangiare immediatamente i cibi cotti
Conservare i cibi cotti attentamente
Riscaldare completamente gli alimenti già cotti
Evitare il contatto tra alimenti crudi e cotti
Lavarsi le mani ripetutamente
Tenere ogni superficie della cucina meticolosamente pulita
Proteggere i cibi dagli insetti, roditori ed altri animali
Utilizzare acqua sicura
II ruolo del pediatra
II pediatra può e deve svolgere un ruolo di rilievo a differenti livelli:
– livello clinico: corretto inquadramento clinico, rapida notifica alle autorità sanitarie, instaurazione di una appropriata risposta terapeutica, tranquillizzazione (se possibile) della famiglia sulla relativa benignità dell’evento
– livello preventivo: azione di educazione sanitaria sulla famiglia (corrette modalità di preparazione e conservazione degli alimenti) e sul bambino (elementari misure d’jgiene personale per la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale: «lavarsi le mani»)
– livello istituzionale: attività di «lobbying» attraverso le società scientifiche e le associazioni di categoria per stimolare da parte degli organi di governo la messa in opera di programmi di risposta e prevenzione delle tossinfezioni alimentari sempre più efficaci, nel rispetto delle caratteristiche organolettiche e della «diversità» degli alimenti preservate fino alla nostra epoca da secoli di buona cultura alimentare.
A. VIGO, M. VIETTI RAMUS Divisione di Pediatria B, Azienda Ospedaliera «Regina Margherita – S. Anna», Torino